Una intera comunità si è riunita per ringraziare il dottor Szumski: tra poco andrà in pensione. Speranza per ringraziarlo di aver guarito migliaia di persone dal covid ha chiesto la sua radiazione

Oltre 1.300 persone, gli amici, i suoi pazienti di una vita e gli sconosciuti che per festeggiarlo si sono fatti centinaia di chilometri. Il popolo di Riccardo Szumski si è riunito domenica a Santa Lucia di Piave per festeggiare il medico che, dopo 40 anni di servizio, a fine aprile andrà in pensione. Visibilmente emozionato è salito sul palco per ringraziali e per dire che non smetterà di curare i suoi pazienti.

Dottor Szusmki domenica si è trovato davanti una folla, se lo aspettava?
«No, sono rimasto sbalordito che tutte quelle persone fossero lì per me. C’è gente che è arrivata dal Trentino per mangiare un panino che si è portata da casa pur di farmi festa. È stata un’emozione incredibile. Mi hanno sommerso di lettere che, al di là di tanti giudizi, sono la testimonianza che ho fatto il mio mestiere. Mi hanno ripagato per la fatica, ma soprattutto per i tanti attacchi».

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Chi erano quelle persone?
«Molti dei miei pazienti, ma anche persone che vivono lontano e mi hanno chiamato quando stavano male per il Covid. Mi hanno scritto lettere per ringraziarmi di esserci stato. Di aver risposto al telefono alle 10 di sera o il giorno di Natale. Mi dicono grazie perché non li ho lasciati soli. E poi c’erano anche quelli che mi sono sempre stati vicino anche se non sono stati male. Dicono che le mie parole hanno dato loro forza».

È stata una festa no-vax?
«Assolutamente no. E la prova è il fatto che in mezzo ai non vaccinati c’erano moltissime persone vaccinate. Tra le quali persone a me care, amici di una vita che hanno deciso di vaccinarsi. Non ho mai detto a nessuno di non farlo. E infatti ho vaccinato molti dei miei pazienti Perché io sono per la libertà. Ma libertà non è una politica sanitaria che si è dimostrata un ricatto, che ha costretto la gente a un marchio da esibire per lavorare e vivere. Uno strumento che sul piano sanitario non ha avuto alcun effetto e che in Italia ancora si mantiene».

Lei ha spesso contestato la politica sanitaria nazionale e regionale, perché?
«Perché quando chi è al comando fa terrorismo non aiuta i medici e non aiuta i pazienti. A noi medici, all’inizio della pandemia è stato detto di non andare a visitare i malati. Una cosa impensabile, folle. Io ci sono sempre andato e sono contento di averlo fatto. Ma ho sbagliato secondo questa politica che, anche di fronte alle evidenze, continua con misure assurde. Come estendere a dicembre l’obbligo vaccinale per i sanitari sapendo che metterà ulteriormente in difficoltà il sistema. Pur di non richiamare i sospesi, addirittura si pensa a far lavorare i medici ucraini senza abilitazione. Saranno anche più bravi di noi, ma è indubbio che per qualcuno le regole sono ferree per altri sono invece molto mobili».

Come sono stati questi ultimi due anni di carriera?
«Difficili. Mi hanno attaccato e deriso perché dicevo cosa che adesso dicono anche altri. Un esempio? Andrea Crisanti ora sostiene che bisogna vaccinare i fragili e lasciare che gli altri prendano il virus. Quando lo dicevo io, e dicevo che vaccinare tutti e pensare di far sparire il virus era una truffa, mi davano del matto. Sono stato deriso e chiamato “stregone” perché ho parlato di Invermectina, un farmaco che in Italia è per uso veterinario, ma che in altri Paese è stato regolarmente usato nella terapia contro il Covid. Quando è iniziato tutto io mi sono messo a studiare, per capire cosa facevano negli altri Paesi. Il mio maestro, il professor Gianfranco Panizza, quando ero appena laureato ed ero nel suo reparto di pediatria mi ha insegnato che non bisogna mai smettere di imparare da tutto e da tutti».

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