Massimo Fini, notoriamente non iscrivibile agli schieramenti tradizionali di destra o sinistra, dice la sua sulla guerra tra Russia e Ucraina.
di Alessio Mannino per Il Giornale
Non solo pacifisti e bandiere arcobaleno. Fra i critici del blocco occidentale riunito sotto l’egida della Nato sono presenti anche voci che pacifiste non sono, e che anzi si augurano un’Unione Europea armata e nucleare, e tuttavia neutrale fra Stati Uniti e Russia. È il caso di Massimo Fini, giornalista e scrittore firma del Fatto Quotidiano, notoriamente non iscrivibile agli schieramenti tradizionali di destra o sinistra. E neppure, nello scontro politico-culturale in parallelo alla guerra in Ucraina, tra i tifosi dell’uno o dell’altro fronte.
Fini, stiamo assistendo a una recrudescenza di anti-occidentalismo e sostanziale anti-americanismo, quando si sostiene la corresponsabilità della Nato nelle cause che hanno portato all’invasione dell’Ucraina?
“Sì, ma è di due tipi. C’è quello esplicito, che è di pochi e che è anche il mio, che deriva dalle guerre che la Nato a guida Usa ha inanellato in oltre trent’anni a questa parte: prima guerra del Golfo, Serbia, Afghanistan, seconda guerra del Golfo e infine Libia. La differenza con quella di oggi in Ucraina, è che in questa vengono mostrate le operazioni militari, in quelle no. Me lo ricordo, l’allora inviato Fabrizio Del Noce a Baghdad nel 1990, che spiegava i bombardamenti dalla sua stanza d’albergo. Ma mi ricordo anche che quell’aggressione fece 176 mila morti irakeni, fra cui 32 mila bambini. Dall’altro lato, c’è un anti-americanismo sottotraccia, che si manifesta in modi più o meno velati e pudichi. Ma è un termine in realtà assurdo. La verità è che la Nato non ha più senso da quando è caduto l’impero sovietico. Da allora, è diventata l’arma con cui gli Stati Uniti tengono l’Europa in stato di minorità militare, politica e alla fine anche culturale”.
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Ma è stato Putin, qui, ad attaccare…
“A mio parere qualche ragione Putin ce l’aveva, nel sentirsi accerchiato dalla Nato. Il precedente di Cuba, quando Krusciov ebbe il buonsenso di ritirare i missili per scongiurare una guerra atomica, dovrebbe illuminarci. La questione vera è l’Europa, che dovrebbe dotarsi di una forza militare autonoma, il che vuol dire togliere l’anacronistico divieto di riarmo atomico alla Germania”.
Germania che proprio la settimana scorsa, con decisione storica, ha annunciato di voler riarmarsi. Restando fedele alla Nato, però.
“Ma certo, siamo sempre lì. L’Europa dovrebbe seguire la linea a suo tempo proposta da Angela Merkel: l’equidistanza fra i due poli, difesa grazie al nucleare (faccio notare, fra parentesi, che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, con le sue quattro bombette, viene lasciato tranquillo). Anche se bisogna pur dire che, in tempo normali, noi avremmo tutto l’interesse ad avvicinarci più a Mosca, per ragioni geografiche, economiche, energetiche e anche, voglio sottolinearlo, culturali. La letteratura russa fa parte integrante del nostro bagaglio di europei”.
È in corso una sfida fra democrazia e dittatura, a livello culturale?
“No, per niente, è solo una guerra fra due potenze nucleari, Russia e Usa, con l’Europa letteralmente in mezzo, che come al solito ci rimette. La Russia ha abbracciato da tempo il nostro modello di sviluppo economico. Come la Cina”.
Quanto meno sul piano politico, però, restano realtà diverse dalla nostra. Cosa ne pensa di chi spera in un regime change in Russia, facendo leva sulle proteste giovanili?
“C’è una differenza fra le grandi città e la popolazione nella Russia profonda. Putin ha senz’altro ridato alla grande maggioranza dei russi, che è agricolo-contadina, l’orgoglio della cosiddetta Grande Madre”.
L’Occidente sembra averlo ritrovato, purtroppo sul sangue dei civili di ogni parte, in Ucraina.
“Già la sola parola ‘Occidente’ mette i brividi. Ricorda l’Eurasia e l’Estasia di ‘1984’ di George Orwell, questi agglomerati anonimi in cui, a conti fatti, il cittadino comune conta zero. E questo vale anche per l’America e per la Russia di Putin”.
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