Cosa significa in concreto “l’allerta atomica” dichiara da Putin: facciamo chiarezza al di là delle posizioni della propaganda

di Stefano Magni per il blog di Nicola Porro

È possibile una guerra nucleare? Sì. È probabile? No. È più probabile rispetto al passato? Sì, in questi giorni è più probabile, ma ancora si parla di una probabilità abbastanza remota. Vladimir Putin ha rivelato come le forze nucleari russe siano state poste in stato di allerta. Per capire se la minaccia è seria o no, occorre ricordare come i russi, e i sovietici prima di loro, intendono la guerra nucleare.

La dottrina del “secondo colpo”

Dichiaratamente, la dottrina sovietica era basata sul “secondo colpo”: le atomiche si usano per rappresaglia, solo se i nemici le usano per primi. In realtà, i piani del Patto di Varsavia declassificati nella ex Germania Est, nella Repubblica Ceca e in Polonia, rivelano che una guerra contro la Nato sarebbe iniziata con un lancio preventivo di testate nucleari tattiche sulle basi militari della Nato, soprattutto in Europa centrale e occidentale (Germania Ovest e Benelux).

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La dottrina del “colpo simultaneo”

La contraddizione si spiega con la necessità di prevenire un eventuale attacco Nato: quando i servizi segreti sovietici (Kgb e Gru) fossero giunti alla conclusione che la Nato avrebbe lanciato un attacco, le testate sovietiche sarebbero partite per prime. Con quanto anticipo, è stato oggetto di discussione. L’ultimo celebre comandante in capo delle forze sovietiche, Nikolaj Ogarkov, aveva elaborato una dottrina del “colpo simultaneo”: lanciare solo nell’imminenza di un lancio nemico. Questo per quanto riguarda le armi tattiche, a “bassa” potenza e schierate sul campo di battaglia. Quanto ai sistemi centrali, l’Urss si affidava ai satelliti spia, esattamente come gli Usa. Quindi, se avesse individuato un lancio dei missili balistici intercontinentali dagli Usa, l’Urss avrebbe lanciato la rappresaglia.

Non è la prima volta che viene attivata l’allerta atomica

Il momento della Guerra Fredda in cui abbiamo rischiato di più, oltre all’arcinota crisi dei missili di Cuba, è stata la crisi degli Euromissili, quando la Nato schierò nuovi sistemi d’arma (i missili balistici Pershing 2 e i missili da crociera Grifon) in Germania, Regno Unito, Olanda e Italia. In quel caso (merito anche di una serie di incidenti, come l’abbattimento sovietico del volo Kal 007 sudcoreano e le sanzioni che ne seguirono), l’allerta sovietica arrivò al massimo, nell’inconsapevolezza generale. Ma vi furono altre crisi passate nel dimenticatoio, anche negli ultimi mesi dell’Urss. Fu ordinata un’allerta anche nell’agosto 1991, durante il fallito golpe militare contro Gorbachev.

Nell’era post-sovietica, le forze nucleari strategiche furono poste sul piede di guerra almeno altre tre volte: durante la guerra fra Armenia e Azerbaigian nel 1993, durante il fallito golpe nazional comunista contro Eltsin nel 1993 e nell’assurdo incidente del 1995, quando un razzo per lo studio delle aurore boreali lanciato dalla Norvegia venne scambiato per un missile balistico. Nella Russia di Eltsin, incidenti nucleari erano dovuti a una mancanza completa di fiducia nelle forze armate russe e in un forte senso di insicurezza. Un comando russo, ancora imbevuto di mentalità e dottrina sovietica, si sentiva esposto alla possibilità di un attacco di sorpresa occidentale, che è da sempre l’incubo dei generali di Mosca.

La nuova “dottrina Putin”

Con Putin le cose sono cambiate solo in parte. La dottrina non è mai stata ufficialmente modificata. L’uso delle armi nucleari strategiche, contro i Paesi occidentali e gli Usa, è contemplato solo come risposta ad un attacco statunitense contro la Russia. Fa impressione, nell’ultimo aggiornamento della dottrina, che ora sia prevista una risposta nucleare anche contro l’uso di armi convenzionali. Ma non cambia il senso: se gli Usa o la Nato dovessero lanciare attacchi convenzionali contro bersagli strategici russi (come i centri di comando e controllo centrali o la capitale), la Russia risponderebbe con un attacco nucleare. Ma le possibilità di un attacco nucleare strategico russo sono molto più basse rispetto all’era Eltsin, perché l’evoluzione dei sistemi di primo allarme, anche in Russia, ha dato molta più fiducia e senso di sicurezza ai comandi militari. Non ci sono più grandi margini di incertezza: saprebbero esattamente quando il nemico attacca e, dunque, anche quando rispondere.

Il mistero delle armi nucleari tattiche

Mentre è ancora un mistero la dottrina sull’impiego delle armi nucleari tattiche, sul campo di battaglia. Non essendoci più una situazione di muro-contro-muro in Europa, come ai tempi della Guerra Fredda, si è persa anche quella simmetria che permetteva di comprendere (e anche lì, fino a un certo punto) come e quando i sovietici le avrebbero lanciate. Oggi non sappiamo quando un presidente russo possa autorizzare l’uso di armi tattiche contro un esercito nemico.

Ufficialmente le dovrebbe usare solo come rappresaglia (dopo un attacco nucleare nemico) oppure come risposta a una situazione disperata sul campo: se le forze russe dovessero essere travolte, insomma, e si rischiasse l’invasione del suolo russo. Stando a queste condizioni, oggi non rischieremmo nulla. L’esercito ucraino, al massimo, è in grado di reggere all’offensiva, ma non ha la capacità di travolgere il nemico, né di invadere la Russia.

Però… come c’era una differenza “fra il dire e il fare” ai tempi della Guerra Fredda, come abbiamo visto, potrebbe esserci anche oggi. Secondo uno gli esperti americani più allarmisti, come Vincent Pry, ad esempio, i russi potrebbero aver mantenuto, in segreto, anche un’opzione di uso preventivo di armi nucleari tattiche. In tal caso, non aspetterebbero di perdere la battaglia o di essere invasi, ma se dovessero valutare che la guerra sta volgendo al peggio (perché dura troppo, oppure si sta formando un’ampia coalizione di nemici), potrebbero lanciare una o più armi nucleari tattiche e aspettare che il nemico, prontamente, si sieda subito al tavolo negoziale. Se così fosse, il bersaglio più probabile sarebbe l’Ucraina. Questo è uno scenario molto poco probabile, ma non impossibile.

Se proprio Putin volesse creare panico e obbligare gli Usa a chiedere la pace (per disarmare la Nato), non è da escludere che il bersaglio di un attacco nucleare limitato sia in un Paese periferico della Nato privo di armi nucleari, come la Polonia, o i Paesi Baltici, o la Norvegia. In tal caso, Putin giocherebbe la carta del “pazzo” e obbligherebbe un nemico che non prende più in considerazione una rappresaglia nucleare, a chiedere immediatamente la pace, a qualsiasi condizione, per evitare ulteriori azioni folli. Questa è un’ipotesi ancora meno probabile, ma, appunto, non è da escludere.

E c’è un solo modo per dissuadere questo tipo di imprevisti: speak softly and carry a big stick (parla dolcemente, ma porta un grande bastone) come fece Reagan ai tempi della crisi degli Euromissili. Il che vuol dire: rassicurare Putin sul fatto che non c’è alcuna escalation in corso e nessuno ha intenzione di attaccare la Russia, ma al tempo stesso che abbiamo i mezzi e la volontà per condurre una rappresaglia devastatrice. Ma Biden è in grado di comportarsi alla Reagan? Da uno che si esprime in termini quali: “L’unica alternativa alle sanzioni è la Terza guerra mondiale”, non ce lo aspettiamo. Incrociamo le dita, ma non facciamoci prendere dal panico. Le probabilità che tutto ciò accada sono molto, ma molto basse.

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