di Gianluigi Paragone
molti dà fastidio che si dica che in Italia c’è una dittatura, considerano questo termine esagerato, inopportuno, fuori luogo. In tutta franchezza trovo falsamente consolatorio pensare di anestetizzare un dibattito per il solo fatto di non voler esaminare ciò che sta accadendo. In Italia – unico Paese al mondo eccetto quelli in assenza di democrazia – i parlamentari che si oppongono al lasciapassare non possono esercitare il pieno mandato elettorale.
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Non si tratta soltanto di contestare una normativa che vincola l’ingresso nei luoghi di lavoro all’ostensione di un pass fortemente discriminatorio e che si estende anche al parlamento per effetto della (discutibile) similitudine tra assemblea elettiva e luogo di lavoro, ma della neutralizzazione del ruolo dell’opposizione.
Ammesso che il parlamentare sia un lavoratore come gli altri (e non lo è come fior di costituzionalisti sostengono senza troppi fronzoli) e ammesso che l’analogia si applichi per evitare disparità di trattamento, non è per nulla ammissibile che l’esclusione fisica del parlamentare dal parlamento ne resetti persino l’espletamento del mandato elettorale.
Per essere ancor più chiari: chi si assume il compito di escludere i parlamentari privi di lasciapassare dai lavori d’aula dovrebbe organizzare una procedura sostitutiva – per esempio, il voto a distanza – per cui il ruolo dell’oppositore non sia cancellato. Esattamente come era stato fatto per l’elezione del Capo dello Stato, allorquando ai malati di Covid fu consentito di votare, in ossequio alla segretezza, con una modalità tipo drive in.
Mi domando: perché ai malati di Covid fu consentito di votare facendo eccezione alla regola della quarantena, mentre ai sani privi di super green pass non è consentito il voto da remoto? Per una scelta politica, antidemocratica. Annientare – per quanto elegantemente e subdolamente l’opposizione significa ledere l’abc della democrazia parlamentare; e se non c’è democrazia parlamentare allora c’è qualcosa di altro, che io chiamo dittatura.
Lo ripeto: il tema non è soltanto l’esclusione fisica da un luogo (il luogo di lavoro piuttosto che l’aula parlamentare) ma il divieto di assolvere pienamente al mandato elettorale, cioè quel mandato per cui un parlamentare non conta per se stesso ma per chi lo ha delegato a rappresentarne le istanze. Ora, chiedo dove sia finita la centralità del parlamento, dove fino a prova contraria a una maggioranza risponde una minoranza: in aula l’opposizione è consentita solo a chi si uniforma alle regole che contesta.
Sarebbe come se per fare opposizione al partito del regime ci si debba iscrivere al partito stesso. Un controsenso, che però non tocca né il capo dello Stato, né i presidenti di Camera e Senato. Né la totalità di una informazione troppo impegnata a ossequiare il «governo bellissimo».